In un periodo complesso come quello attuale, raccontare storie che hanno soluzioni semplici aiuta a rappresentare il nostro modo di affrontare le sfide globali e i cambiamenti che naturalmente ci riguardano. Negli ultimi venti anni, il gruppo Meccanotecnica Umbra ha avuto uno sviluppo notevole: a partire dagli investimenti in ricerca e sviluppo, passando per la valorizzazione del capitale umano. Ma soprattutto abbiamo messo in atto un processo di internazionalizzazione che ci ha portato a presidiare quei mercati in forte crescita e con grande domanda interna, strategici per la nostra azienda.
Il Brasile alla fine degli anni ‘90 è stato il primo paese in cui siamo arrivati; sono poi seguiti la Cina, la acquisizioni in Svezia (Huhnseal) e USA (John Crane) e più recentemente l’India. Questi sono divenuti non più, o non solo, mercati esteri, ma vere e proprie estensioni della nostra azienda. Realtà che condividono con Campello sul Clitunno e con l’Italia un processo di produzione, una visione, un approccio alle questioni legate alla natura del nostro lavoro improntate alla qualità, al rispetto, alle buone pratiche. E alla considerazione della nostra risorsa principale: il capitale umano. La nostra attenzione al personale, alla scelta dei collaboratori e alla loro crescita, ha saputo sposarsi con le necessità specifiche che ogni paese e ogni cultura porta naturalmente con se. E venire in questo senso ripagati da un tasso di fedeltà all’azienda veramente notevole, ci riempie di orgoglio e ci fa capire di essere sulla buona strada. Abbiamo costituito una vera e propria società di formazione, la MTU Academy, per permettere percorsi di formazione continua, aperti anche a società esterne. È il modo nostro di affrontare la rivoluzione 4.0 dell’industria, contesto in cui risultano vincenti non solamente gli investimenti in software o processi di automatizzazione, ma soprattutto la capacità di creare il senso di comunità, dove poter valorizzare le persone che condividono con noi questo percorso. È questo uno dei motivi principali che ci ha portato a immaginare il primo numero di questa rivista raccontato dalla voce diretta di chi questi processi li ha vissuti e realizzati, come in una riunione familiare si ricordano esperienze e aneddoti significativi. Uno strumento, questa rivista, che vorremmo aperto, un luogo per raccontarsi all’interno del mondo MTU.
E quindi cominciamo con cinque storie diverse ma incredibilmente simili, cinque esempi di come la strada per l’eccellenza sia a volte complessa ma sempre appagante. Un primo momento di condivisione per un ulteriore processo di integrazione tra le varie anime del nostro gruppo, che potrà trovare in queste pagine un luogo di interazione, crescita e conoscenza reciproca, in vista di un futuro in cui ci immaginiamo MTU sempre più leader mondiale nella progettazione e produzione di tenute meccaniche, in continua crescita interna ed esterna anche nei settori dell’areonautica e aerospace. Buona lettura.
Siamo arrivati in Brasile nel periodo a cavallo tra il 2000 e il 2001, aprendo dapprima un ufficio commerciale a S. Paolo. Il mercato si rivelava molto interessante e strategico per i nostri prodotti, e all’epoca il gruppo Meccanotecnica Umbra non aveva ancora stabilimenti al di fuori dell’Italia. A livello produttivo la storia di Meccanotecnica do Brasil è iniziata quando Maurizio Calisti, oggi rientrato in Italia, si fece portavoce dell’idea della proprietà e della direzione di trovare un presidio in quel mercato potenzialmente interessantissimo. Arrivato fin qui in “esplorazione”, per conoscere un po’ meglio le leggi e i regolamenti locali, fu abile a cogliere un’opportunità di investimento a Curitiba, centro finanziario ed economico a 400 km a sudovest di San Paolo. MTU aveva così il suo primo stabilimento in Brasile, ed abbiamo iniziato l’attività per il comparto Automotive, tutt’ora il nostro core business con il 90% del fatturato.
Meccanotecnica do Brasil è molto attenta alla gestione delle risorse umane: lo stesso atteggiamento che è possibile riscontrare in ogni filiale del gruppo, che mette in pratica la visione della nostra direzione. Personalmente, ho potuto riscontrare la differenza rispetto alle mie precedenti esperienze lavorative, dove c’è sempre stato un turnover abbastanza importante tra i dipendenti. Mediamente ogni 4 anni le persone cambiavano lavoro, o per loro scelta o per decisioni dell’azienda.
Al contrario, in tutto il gruppo MTU così come qui in Brasile, non è raro incontrare persone che lavorano con noi da tantissimi anni, anche da 40, e sono la maggioranza dei dipendenti.
Qui l’azienda esiste da 17 anni, e sono molte le persone che lavorano con noi fin dall’inizio.
Il Direttore Commerciale, Salvatore, è qui da sempre, è la nostra figura “storica”. È anche grazie a lui, che ha sposato il progetto come scelta di vita, che l’azienda ha avuto una persona di fiducia che in Brasile potesse trasferire la cultura del progetto e il modus operandi italiano. È stato il primo assunto dell’ufficio commerciale di San Paolo. Oggi abbiamo circa 90 dipendenti, equamente divisi tra uomini e donne. In un paese ancora prevalentemente maschilista, la mentalità nel mondo del lavoro si sta aprendo in senso europeo, anche perché è indispensabile per una famiglia che entrambi i genitori lavorino.
In Brasile sono moltissimi gli espatriati italiani, arrivati alla seconda o terza generazione. Questo fa si che, oltre a un profondo legame affettivo nei nostri confronti — raro da riscontrare all’estero — ci sia un altrettanto forte legame culturale, che ha reso più semplice l’esortazione del “mondo” MTU.
Il paese sta attraversando però ancora una fase difficile. Il mercato si sta riprendendo dalla più grave crisi economica degli ultimi 50 anni, anche in seguito all’enorme scandalo di corruzione che ha travolto tutti i livelli politici e burocratici negli scorsi anni, rivoluzionando tutta la politica locale e nazionale, compresi i presidenti Lula e Rousseff. Questa crisi ha creato enormi problemi a livello economico, con un crollo
anche del 50% del fatturato totale del mercato automobilistico. Oggi non è ancora in una fase di espansione, ma sta cercando di riprendersi, tornando ai numeri che faceva 10 anni fa. Per questa ragione il Brasile resta strategico per noi, ma in modo diverso da venti anni fa: è sempre il punto di riferimento per il mercato di tutto il Sud America, tutti gli altri paesi dipendono dall’economia brasiliana. È strategico essere qua. Quello che è cambiato è il nostro mercato di riferimento, dal momento che esistono ottimi margini di crescita nei settori industriali: estrazioni, cartiere, industrie legate alle materie prime, molto attive in questi paesi.
C’è molto lavoro da fare, sia a livello di marketing che commerciale, oltre che naturalmente a livello di prodotto. E siamo pronti a raccogliere la nuova sfida.
Meccanotecnica Umbra è in Cina dal 2005. Io ne ho seguito tutte le fasi, dalla nascita allo sviluppo, dopo la laurea in Comunicazione Internazionale a Perugia e due anni di lavoro per MTU a Campello sul Clitunno. In questi anni mi sono occupata di tutto: prima assistente del Direttore Generale italiano, poi ho avuto a che fare con finanza, acquisti, commerciale, comunicazione. Ho fatto l’interprete, anche l’avvocato quando necessario! Sono orgogliosa di avere la matricola 01, avevo 33 anni quando tutto è iniziato, ed oggi sono una dei più vecchi in azienda. Siamo un gruppo di lavoro molto giovane, e per questo abbiamo un enorme potenziale. Se pensiamo alla Cina di oggi, valutiamo però una situazione molto diversa a quella di dodici anni fa: sono nate norme e regolamenti su emissioni industriali, inquinamento, tutela dell’ambiente, e sulla tutela del lavoro. Ma all’inizio per noi è stata dura: per nostra scelta abbiamo voluto adottare gli stessi standard ambientali e qualitativi dell’Italia, e ci siamo dovuti confrontare con un contesto di assenza di regole. Ad esempio, quando si è trattato di allestire la nostra produzione, abbiamo consegnato ad un ufficio governativo una bottiglia di acqua che secondo i nostri parametri era da depurare, per sapere quale tipo di impianto di depurazione andava previsto.
La risposta è stata che secondo i loro parametri non c’era nessuna necessità di depurazione! Testardamente, abbiamo deciso di proseguire sui nostri standard, anche senza una legge che lo imponesse e anche se il costo risultava molto elevato. Oggi, quando ormai la regolamentazione è divenuta completa e stringente, molte fabbriche in Cina vanno in difficoltà, dovendosi adeguare. Mentre noi siamo tranquilli:
il nostro approccio orientato da subito alla tutela dell'ambiente e alla sicurezza, si è tradotto oggi in un enorme vantaggio competitivo.
Anche il nostro rapporto con i dipendenti ha seguito questa traccia. Fin dall’inizio abbiamo voluto garantire un fondo contributivo, una trattenuta in busta paga che coprisse i contributi dei nostri dipendenti. Ma è stato difficile farlo capire ai lavoratori, fargli accettare l’idea che l’azienda non gli stava sottraendo denaro, ma stava in effetti pagando di più il lavoro, permettendogli di avere un accantonamento a cui accedere, ad esempio, per comprarsi una casa. A distanza di anni, questa decisione si è rivelata vincente, con i dipendenti molto contenti di quella che inizialmente appariva come una scelta impopolare.
Tutto questo ha contribuito a farci sentire una grande famiglia, e come tale abbiamo molte occasioni di condivisione di esperienze. Nel 2015, in occasione del nostro primo decennale, abbiamo premiato dieci dipendenti che hanno lavorato con noi per dieci anni, dal primo giorno di nascita dell’azienda. Ogni anno poi festeggiamo il Capodanno Cinese, anticipato da una festa con tutti i dipendenti, durante la quale vengono messi in scena degli spettacoli teatrali che coinvolgono tutto lo staff. Organizziamo una gita aziendale all’anno: abbiamo visitato Beijing e la Grande Muraglia (eravamo quasi in 100!) e lo scorso anno siamo andati al mare. Organizziamo anche frequenti eventi di Team Building che coinvolgono tutti, sia gli operai che lo staff, sia gli eventuali italiani che si trovano da noi per i momenti di gemellaggio con Campello sul Clitunno. Proprio con l’Italia sono frequenti le occasioni di scambio e confronto per tutti i settori dell’azienda, dalle vendite agli acquisti alle risorse umane, con i membri del nostro staff che si recano a Campello. Così come spesso la casa madre manda le risorse strategiche in visita in Cina. Qualità, integrazione, tutele, sicurezza e il forte senso di gruppo ci fanno sentire parte di un percorso bellissimo.
Mi chiamo Jeff Sneed, sono arrivato in MTU otto anni fa, dopo 19 anni di lavoro per John Crane nel settore automotive. Al momento attuale, abbiamo uno stabilimento a San Fernando, in Messico, una rete di distribuzione in Texas e un ufficio vendite, che è la mia sede principale, a Detroit. Ho sotto la mia responsabilità tutto il mercato del Nord America e del Canada, nonché dello stabilimento produttivo messicano, dove ho lavorato per i primi quattro anni fino ad arrivare ad essere General Manager. Decidere di lavorare per MTU è significato accettare un sfida, di cui sono molto soddisfatto. L’azienda non aveva un percorso già tracciato in America del Nord, per cui si è dovuto iniziare dal principio: una situazione per certi versi ideale. Per tutti gli ultimi sette - otto anni, la necessità che ci siamo trovati a dover gestire è stata la migrazione del processo produttivo dall’Italia a San Fernando, in Messico. Sappiamo come farlo, MTU è veramente efficiente quando si tratta di aprire nuovi stabilimenti: Cina 10 anni fa, India 5 anni fa. Ma il Messico presentava diverse complessità, tra le quali molte questioni legate alla sicurezza e all’incolumità, sia sul posto di lavoro che esterna, a causa delle difficoltà di ingresso e uscita dal Messico di uomini e merci.
Ma questo passo era inevitabile e imprescindibile per far crescere l’azienda. Il concetto alla base del ragionamento è che esiste una naturale tendenza dei clienti ad acquistare da altre aziende dello stesso territorio nazionale, con cuoi si condivide un contesto.
Condividere uno stesso background culturale è veramente importante quando devi vendere un prodotto.
Ma per fare questo senza perdere quello che ti caratterizza, è fondamentale riuscire a migrare non
migrare non solamente un processo produttivo, ma una intera visione, un metodo lavorativo e di approccio al design.
Solitamente gli italiani sono famosi nel mondo per il design e per la cultura legata al cibo: quindi ritengo sia molto bello raccontare anche storie come questa, che parlano di altri aspetti vincenti da esportare. Tutto questo iter ha plasmato il modo in cui lavoriamo ora. Prima progettavamo e producevamo in Italia e vendevamo qui al cliente. Ora l’idea è vedere se possiamo produrre qui, con la stessa qualità certificata e lo stesso imprinting sul processo produttivo. Al momento attuale possiamo realmente cominciare a produrre con gli stessi standard qualitativi dei processi di produzione italiani.
La mia nuova missione è quindi realizzare dei test in modo del tutto autonomo nello stabilimento Messicano. Se la prima fase ha avuto un carattere funzionale, ora l’obiettivo è la replica della qualità della casa madre. La prima operazione di qualità che ci è stata chiesta è stata la riproduzione degli anelli fabbricati di tenuta a Campello, ovviamente rispettandone le specifiche. Per via della differenza di strumentazione, siamo riusciti a farlo ma non in modo economico, in termini di costi e volumi di produzione. Facendo questo, abbiamo realizzato che abbiamo bisogno della stessa strumentazione italiana, per performare come la fabbrica umbra. Abbiamo un equipaggiamento per i test simile, ma i prodotti finiti sono leggermente differenti da quelli prodotti in Italia. Il prodotto è lo stesso, possiamo testarlo e misurarlo in modo coerente. Ma in termine di assemblaggio è diverso, per dettagli come ad esempio l’utilizzo di colla, completamente assente nel processo italiano.
In ogni modo, il nostro percorso ora è tracciato e in costante crescita. In Italia ci saranno sempre risorse tecniche ed energia umana e creativa per lo sviluppo dei prodotti. Ma da una prospettiva di gruppo, possiamo dire di avere potenziale produttivo anche in Cina, India, Brasile e ora in Messico: questo ci permette di seguire più da vicino e in modo migliore i mercati locali.
Sono Direttore Generale di Meccanotecnica India dal Gennaio 2015. Operiamo in India da quasi dieci anni, e allo stato attuale sono due le sedi: una a Pune, dove lavorano sette persone per la progettazione dei prodotti Huhnseal, e una nei pressi di Madurai, unità produttiva dei prodotti MTU con oltre 100 dipendenti. L’età media è bassissima, per vari motivi: da un lato per la nostra scelta di puntare di più su giovani laureati o diplomati piuttosto che su persone con una certa esperienza, per poterli inserire con maggior facilità nei processi produttivi e operativi di MTU. Inoltre le donne, a cui vengono affidati molti dei progressi di controllo visivo, tendono a lasciare il lavoro dopo il matrimonio, preferendo dedicarsi alle attività casalinghe e familiari piuttosto che alla carriera. Sono esempi di elementi profondamente radicati nella cultura locale, che influiscono sulle scelte aziendali.
L’india è un paese complesso e meraviglioso, difficile da comprendere immediatamente ma pieno di risorse umane e sociali.
Se in Italia l’idea di responsabilità sociale è ormai consolidata, in India adottare un approccio che presti attenzione ad aspetti ambientali e di comunità può significare fare la differenza, sia nel posto di lavoro che nella qualità della vita dei propri dipendenti e del contesto in cui si opera. Da sempre MTU si rivela molto attenta alle usanze locali e alle esigenze espresse dai dipendenti, qui per la grande maggioranza induisti ma con rilevanti minoranze di altre religioni. E ad esempio la richiesta di realizzare un tempio Indù per pregare all’inizio della giornata lavorativa è stata presa in considerazione, ma è un progetto di non facile realizzazione, delicato ed emblematico della complessità del paese, nel nostro tentativo di non privilegiare una religione rispetto alle altre.
Quando abbiamo iniziato ad operare in India abbiamo di nostra iniziativa adottato gli stessi standard qualitativi, di sicurezza e di attenzione all’ambiente definiti per l’Italia, anche se non eravamo in presenza di normative corrispondenti.
Questa nostra disposizione ha generato un vero e proprio processo di crescita collettiva. Ad esempio, un quartiere di Pallapatti, il villaggio di 10.000 abitanti vicino all’azienda, è sprovvisto di acqua corrente a causa di guasti nell’impianto esistente. Gli abitanti sono costretti ad arrangiarsi utilizzando sistemi di fortuna per l’utilizzo quotidiano di un bene così fondamentale. Ci stiamo quindi facendo carico della realizzazione di un un pozzo per fornire acqua potabile all’intero quartiere, oltre della manutenzione di alcuni serbatoi obsoleti, collaborando con i privati locali. Il nostro impegno in questo senso sta crescendo: abbiamo formato un Comitato per la Responsabilità Sociale verso la popolazione locale, in accordo con gli amministratori, con cui definiamo dei progetti di tipo sociale e solidaristico da finanziare e realizzare, anche incontrando la normativa indiana che prevede la devoluzione di una parte degli utili in ambito sociale e rurale.
Così come un’altra legge, il Sexual Harassment of Women at Workplace Act del 2013 ci ha permesso di costituire in azienda un Comitato Interno per la difesa delle Donne dalle molestie sessuali sul posto di lavoro, fenomeno che in India aveva assunto dimensioni preoccupanti. Svolgiamo formazione su diritti e tutele, e tutte le dipendenti di Meccanotecnica India possono fare riferimento al comitato nel caso di problemi o pressioni. Il comitato è composto da 4 memebri, presieduto da Sajina (responsabile HR di Meccanotecnica India) e dalla Professoressa Denisa S.P. della Mother Teresa Womens University di Pallapatti, come rappresentante esterno, oltre che da me e dal Company Secretary Muthukumar.
Mi chiamo Paul Beddows, sono il General Manager di Huhnseal. Sono entrato in azienda a gennaio del 2017, e ho 13 anni di esperienza nel settore della gestione industriale dei fluidi. Huhnseal ha 70 dipendenti, tra vendite, servizi centrali, ingegneria di prodotto e produzione: siamo un’unità lavorativa autonoma, in un certo senso indipendenti da MTU, il cui core business è nel mercato automotive.
Possiamo affermare di essere il reparto sartoriale, il “su misura” di tutto l’universo Meccanotecnica. La particolarità del nostro metodo di lavoro ci costringe a chiederci continuamente come possiamo migliorare l’esperienza che i nostri clienti vivono lavorando con noi, a partire dal modo in cui ci presentiamo e in cui riusciamo a rappresentare il nostro metodo di lavoro. Infatti, contrariamente alla maggior parte dei nostri concorrenti, non abbiamo un catalogo prodotti, ma sviluppiamo tenute personalizzate partendo dalle richieste. La differenza è notevole, sia in termini di funzionalità che di costo. Acquistando prodotti a catalogo, si pagano anche le specifiche non richieste.
Con le soluzioni personalizzate invece si pagano solamente quelle necessarie. È una servizio su misura. I clienti ci raccontano le loro necessità e noi lavoriamo con loro per sviluppare le specifiche di progetto, i dettagli di come vogliono utilizzare la tenuta, e di come la vogliono inserire nel loro processo, arrivando a disegnare la soluzione per bisogni specifici. È un processo fatto di piccoli step comuni, di continuoconfronto e correzioni, di limatura dei costi, di test svolti daiclienti nei loro processi produttivi, fino ad arrivare alla produzione vera e propria del prodotto. Di conseguenza, la sfida che ci troviamo ad affrontare continuamente è:
come presentiamo il nostro lavoro al cliente? Come rendiamo tangibile il nostro servizio sartoriale?
All’inizio dell’estate dello scorso anno tutta la nostra capacità produttiva e progettuale era localizzata in Svezia. Il fatto di trovarsi a stringere accordi commerciali con clienti che si trovano in paesi molto lontani dalle risorse di sviluppo e produzione può risultare un limite: ne può derivare una preoccupazione per il cliente. La sua esperienza di collaborazione con noi può risultare compromessa dal fatto che abbiamo agenti e uffici vendite in America del Nord, America del Sud, Cina e nel resto d’Europa, ma le risorse tecniche lontane, dai mercati in cui operiamo. Quindi abbiamo preso la decisione:
decentralizzare il nostro modo di lavorare per avvicinarci ancora di più a loro e alle necessità dei clienti.
E così abbiamo cominciato aggiungendo allo staff nuove persone, impiegandole in quei mercati, anziché averli tutti riuniti qui in Svezia. Abbiamo realizzato una catena di sviluppo produttivo al di fuori della Svezia — in Italia, dove un nostro ingegnere, Mario, si è trasferito a Campello Sul Clitunno — e in America del Nord. Poi abbiamo inserito nuove risorse aziendali in Cina e in Nord America e anche in UK.
La personalizzazione della tenuta idraulica è il nostro principale argomento di vendita [unique selling preposition, ndt.]. Ma da oggi lo è anche la sfida di plasmare l’intero percorso produttivo secondo la nostra relazione diretta con il cliente, anche se questo implica delocalizzare i processi e adottare un modo di pensare decentralizzato. Non si tratta più solamente di un rapporto di vendita e acquisto, ma di una vera e propria esperienza comune.
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